Luciano Zarotti


Luciano Zarotti nasce a Venezia nel 1942 dove la sua famiglia ha lontane origini.
Trascorre l’infanzia nella città natale e fin da giovanissimo è attratto dalla pittura. Ben presto si trova a volersi confrontare con i grandi artisti. A metà degli anni ’60 risiede a Parigi per otto mesi dove conosce Cesetti e Licata all’Ecole di Beaux Art; coglie una nuova visione che si tradurrà nelle prime contaminazioni pop.
Tornato a Venezia, conosce Carrà in occasione della Biennale dell’Incisione e scopre un nuovo linguaggio.
Produrrà oltre trecento matrici, molte delle quali di grandi dimensioni anticipando i tempi. Studia i fiamminghi per ottenere acquetinte delicate con numerose morsure; è una sfida nel mistero del nuovo. Sperimenta sempre; polvere di carborundum, inchiostri e acidi, stampa come un instancabile alchimista.
Negli stessi anni frequenta l’Accademia di Belle Arti dove in seguito conoscerà Luigi Tito alla Scuola Libera del Nudo. Approfondisce il disegno distinguendosi subito per capacità non comuni. Verrà chiamato nel ‘72 ad insegnare alla stessa cattedra consolidando un rapporto insostituibile con il suo primo Maestro. Sperimenta in questo periodo la materia; come fosse “a bottega” scopre la tempera veneziana nelle formule dei grandi Maestri. Gli studi dei nudi sono vigorosi, la pasta è corposa; dipinge ancora paesaggi en plein air per studiare la luce. Apprende le tecniche dell’affresco da Bruno Saetti. In seguito realizzerà le grandi pale d’altare per le chiese di clausura del Lido di Venezia e di Malamocco.
Partecipa assiduamente all’attività espositiva dell’Opera Bevilacqua La Masa ricevendo numerosi premi e riconoscimenti che inaugurano una lunga e prestigiosa attività espositiva. La concessione di uno studio a Palazzo Carminati, dove rimarrà per quasi dieci anni, contribuirà al confronto con gli altri giovani artisti presenti risentendo dei nuovi fermenti culturali del ’68 al cui seguito vedranno tradursi nuovi linguaggi liberi di esprimere ansie esistenziali e tensioni sociali.
Dal 1968 inizia anche un’intensa collaborazione con la Fucina degli Angeli di Venezia di Egidio Costantini, ideatore per il vetro delle prime opere con artisti di fama internazionale; conoscerà tra questi Max Ernst, Paul Jenkins, Mark Tobey, Sebastian Matta. Sarà consigliere artistico e parteciperà con le sue sculture a tutte le maggiori esposizioni per oltre trent’anni.
Nel ’70 P. Jenkins per l’ammirazione di fronte alle sue incisioni scrive: ”Pare consumata in un artista non ancora trentenne. Mi parla di nuova figurazione..”.
Inizia a far parte dell’Associazione Incisori Veneti dove sarà poi nel Direttivo a fianco di Giorgio Trentin; partecipa con questa alle maggiori manifestazioni internazionali, tra queste la rappresentanza ufficiale a Praga. Su invito espresso da Renato Guttuso nel ’75 viene invitato con una sala personale alla X Quadriennale di Roma per la nuova generazione.
Seguirà negli agli anni ’80 la produzione di dipinti caratterizzati dalle grandi dimensioni che ricordano i teleri del ‘500 e per come veicola la luce Rembrandt e Tintoretto, ma i cromatismi nuovi e brillanti arrivano freschi dall’arte pop inglese di Sutherland, Hockney, Bacon; usa drappeggi, foglie, stencil, ripartisce gli spazi e le scene, senza nessuna finzione decorativa.
A metà degli anni ’80 la pittura esce dai contorni e la figura diventa sagoma, smuove l’astrazione. Ma è alla fine dell’88 con “Evento per Zaira” che segnerà la linea di passaggio verso un periodo di nuova paternità non solo artistica.
Sperimenta nuovi materiali come stucchi, metalli, cobalti e una nuova gestualità prorompente si manifesta impregnata di misteriosa sacralità con la serie dei “Rituali” numerati. I pigmenti vengono mescolati con i minerali: carborundum, argento, rame, oro; le dita sostituiscono i pennelli per una nuova percezione senza mediazione. Oro e argento su fondi neri sembrano liberi di fluttuare mentre in realtà vengono abilmente trattenuti per contenere il movimento vitale. Sono opere caratterizzate da prolungamenti fatti uscire da un lato del perimetro per suggerire, come continuità del gesto, il gocciolamento e la caduta del materiale pittorico fino a coprire vasi e bottiglie posti a terra. Tra queste anche un omaggio a Giorgio Morandi conosciuto giovanissimo nel suo studio.
Nel 2005, dopo aver insegnato alle Cattedre di Pittura, Affresco e Tecniche Pittoriche Antiche e Moderne, che lo ha visto collega di Vedova, Zotti, Finzi, Plessi, ecc. per oltre quarantanni, ritorna ad alcuni temi sempre cari: quelli mitologici e pagani, manieristi e barocchi, religiosi e di genere. Sono libere divagazioni che partono dal suo interesse per la tache; l’idea antica del fantasma pittorico. Partendo dalla macchia con occhio contemporaneo, intuizione e abilità, raccoglie una vasta produzione su materiali diversi. La sua abilità fertile realizza in questo modo anche il grande libro dell’Apocalisse con oltre 75 tavole e numerosi altri libri in piccolo formato. La tecnica del gouache gli consente di utilizzare, come nelle precedenti grandi tele materiche, la stessa gestualità ed evocazione informale.
Dal 2010 sarà ricorrente il tema delle battaglie, mai intese in modo rievocativo; anticipato fin dal grande trittico di incisioni dedicate a Paolo Uccello e poi dalla scenografica e imponente Battaglia Barocca su telero ad olio, sarà un soggetto indagato con l’uso di tutti i materiali, compresi gouache e monotipi. Le ricerche costruttive e cromatiche spesso vengono racchiuse e circoscritte in bagliori informali che ne aumentano l’intensità. La battaglia è metafora dello scontro come tensione vitale che invoca soluzione; sono visioni atemporali in lotta nel divenire. Il gusto per le citazioni e una facile capacità di plasmare si traducono anche nella scultura con lavori in terracotta e bronzo; la creta di Nove e le fasi della cottura non potevano restare indifferenti ad un artista così votato alla sperimentazione. Tra le opere più recenti troviamo una grande lezione di sintesi nel periodo denominato “zen”; una pittura fluida muove metalli preziosi con una gestualità sicura. Le memorie bizantine impresse nella sua genetica venezianità assieme ai bagliori dell’ultimo Tiziano, sono diventati ora pittura essenziale.
Con instancabile vitalità continua la sua produzione alla ricerca di spazi per libere elaborazioni sfruttando la sua proficua capacità di generoso visionario ed artista versatile.

 

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